Tanti i segnali che lasciano pensare a una strage annunciata:
Cruz era stato allontanato per i suo problemi psicologici,
aveva comprato un 'arma e postava immagini violente
Alla scuola di Parkland si aspettavano l'attacco, al punto che gli studenti erano «sicuri» che sarebbe stato proprio Nikolas Cruz a compierla. Lo conoscevano, sapevano dei suoi problemi comportamentali, della passione (o meglio ossessione) per le armi. Un solitario, «schifato» da tutti - questo dicono le testimonianze -, rimasto senza genitori e che nel tempo aveva mostrato segni evidenti di instabilità. Un'attenzione maggiore avrebbe potuto evitare l'eccidio di 17 innocenti? Secondo BuzzFeed, in autunno, una persona ha avevo visto un messaggio dell’assassino su YouTube dove affermava di essere pronto a compiere una strage in un istituto scolastico ed aveva contattato l’Fbi. Gli agenti hanno raccolto la denuncia ma non è chiaro cosa sia accaduto in seguito. La polizia locale - sostiene la CNN - non sarebbe stata informata dai federali. E ciò provocherà non poche polemiche sulla catena di comunicazione.
In base alle prime informazioni emergono alcuni aspetti da rimarcare, anche se — lo ripeto sempre —le valutazioni "a caldo" sui mass shooter statunitensi possono essere azzardate.
Da Columbine in poi gli errori di analisi sono una costante.
Soffermiamoci su quello che sappiamo.
1) Cruz aveva lasciato trasparire le sue minacce, ma non tutti lo hanno preso sul serio. L'istituto ha fatto il suo dovere allontanandolo un anno fa, però servivano controlli nel «dopo» visto il profilo del giovane.
2) Il killer aveva postato sui social molte immagini con armi e atteggiamenti indicativi sulle sue tendenze. Probabile che volesse vendicarsi contro il liceo che le aveva cacciato.
3) Era dotato di una copia di fucile d'assalto Ar 15, acquistato legalmente con molte munizioni. Non è una sorpresa, bensì la normalità.
4) Ha usato una tattica già vista in altri massacri: ha tirato l'allarme, avrebbe usato dei lacrimogeni ed aveva una maschera anti-gas.
In altre parole si è preparato all'assalto come un terrorista.
5) Gli americani le chiamano «red flags», ossia elementi che possono rivelare in anticipo le intenzioni criminali di una persona: qui ve ne erano molte.
6) Le armi sono il problema per gli Usa, ma lo è anche la società che non dispone di un sistema che assista famiglie con ragazzi «difficili» o, peggio, malati.
Ennesima strage a scuola, perché gli Usa non prendono provvedimenti?
Dall’inizio dell’anno si è sparato ogni due giorni e mezzo negli istituti americani: perché l’inazione si sta trasformando in accettazione della strage
La posizione più chiara, che in fondo tocca nel vivo l’aspetto che in Europa comprendiamo meno sull’“epidemia di stragi” con armi da fuoco negli Stati Uniti, l’ha fornita a caldo il senatore democratico Chris Murphy. Uno che il sangue delle pistole impazzite lo conosce bene, visto che viene dal Connecticut, dove nel 2012 vennero uccisi venti bambini alla scuola elementare Sandy Hook di Newtown. Ha parlato poche ore dopo l’ennesima carneficina che ha fatto 17 morti e 15 feriti alla Marjory Stoneman Douglas High School di Parkland, 70 chilometri a Nord di Miami. L’autore è il 19enne Nikolas Cruz, espulso da quello stesso istituto e già sotto osservazione, col suo fucile automatico Ar-15 e la solita strategia diabolica: avrebbe fatto scattare un allarme per far uscire gli studenti dalle aule.
“L’epidemia di stragi di massa, questo flagello di sparatorie nelle scuole, una dopo l’altra – ha spiegato Murphy in aula, quando ancora non era chiaro il numero dei morti – succede solo da noi non per coincidenza, per sfortuna, ma come conseguenza della nostra inazione. Noi siamo responsabili del fatto che in questo Paese si ha questo livello di atrocità di massa che non ha nessun paragone in altre parti del mondo”. I numeri parlano chiaro, li avevamo raccolti in occasione di un’altra strage, quella avvenuta lo scorso ottobre a Las Vegas: 265 milioni di pezzi in mano a privati. Un’arma a testa considerando solo gli americani adulti, escludendo forze dell’ordine ed esercito.
Se non fosse che sono concentrati nelle mani di 55 milioni di persone e che la metà di quelle armi è addirittura nei cassetti e negli armadi del 3% della popolazione adulta.
Un Paese armato fino ai denti dove pistole e fucili sono oggetti quotidiani, corredo fondamentale del proprio retaggio culturale legato al secondo emendamento alla Costituzione, e gallina dalle uova d’oro dei produttori riuniti nella famigerata National Rifle Association. Non è un caso che, anche stavolta, nelle dichiarazioni di Donald Trump si parli di “sparatoria” (ma per fare una sparatoria bisogna essere almeno in due, se la fa uno solo si chiama strage) e non si faccia alcun riferimento al contesto di merito. Né ai fondi federali per il Gun Background Check System, il già blando sistema per il controllo di precedenti penali e malattie degli acquirenti di armi, ulteriormente indebolito col taglio del 16% da 73 a 61 milioni, come denunciano le associazioni che si battono per il disarmo e una più stringente regolamentazione come la Everytown for Gun Safety.
Insomma, il punto è proprio quello sollevato da Murphy. E cioè che l’infernale meccanismo appare eterno, immutabile, irrisolvibile su cui era tornato qualche settimana fa pure il New York Times, parlando di “assuefazione”: a fine 2017 un genitore su quattro aveva paura di mandare i propri figli a scuola contro il 55% del 1999, dopo Columbine. Come se qualche decina di studenti trucidati ogni tanto stesse diventando qualcosa da mettere in conto. Raggelante. Specialmente visto da fuori. Ma così potrebbe non essere, anche se neppure Obama ha potuto troppo contro il ritornello del “più armati più sicuri” e molti dei suoi decreti esecutivi sono stati cestinati dal successore.
Eppure così non si può andare avanti. Si fa fatica a tenere il conto, in particolare degli eventi avvenuti nelle scuole, crocevia maledetto di queste tragedie, coacervo di paure e timori, drammi giovanili e fragilità (come apparirebbe anche per Cruz) che evidentemente nessuno prende in carico ma a cui chiunque può mettere in mano un fucile. Ci ha provato il Washington Post a tracciare quelle degli ultimi 18 anni: secondo i dati Everytown, per esempio, quest’anno nelle scuole si è fatto fuoco ogni due giorni e mezzo. Stringendo le maglie, sono già sette le sparatorie più gravi nel 2018, più di una a settimana: New Orleans, Los Angeles, Ketucky, Arizona, Texas. E ora Florida. Dal 2000 i fatti di sangue sono stati oltre 130 fra elementari, medie e superiori e 58 ai college e nelle università. Settanta persone uccise e 200 ferite alle superiori, 60 bambini morti e altrettanti feriti alle elementari.
Una guerra civile permanente
combattuta anzitutto nelle scuole.
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