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lunedì 19 maggio 2014

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lunedì 5 maggio 2014

La storia di Elena, la Prima Donna Laureata al Mondo


La storia di Elena, 

la prima donna laureata al mondo. 

Ed era italiana

Era il 1646, Venezia. La quinta di sette figli, Elena Lucrezia Corner Piscopia, veniva al mondo. Nessuno si sarebbe aspettato che, quel giorno, sarebbe nata la prima donna laureata della storia. Ed era italiana.

La storia di Elena è una di quelle che ti lasciano l’amaro in bocca. Dimostra fin da bambina di essere un piccolo genio, con capacità di apprendimento strabilianti. Nel 1665, a 21 anni, Elena sovverte già la tradizione: diventa oblata benedettina, rispetta i voti delle monache pur continuando a vivere in famiglia. Il suo punto di forza sono gli studi filosofici, ma la cultura è immensa: conosce come le sue tasche il latino, il greco, il francese, l’inglese e lo spagnolo, e studia l’ebraico.

Quando, dopo essersi iscritta all’università (a quei tempi definita Studio di Padova) presenta regolare domanda di ammissione alla laurea ecco la spiacevole sorpresa. A una donna, infatti, non era concesso ricevere il titolo di dottore in teologia. Gregorio Barbarigo, vescovo di Padova (fatto santo ndr), blocca tutto: la donna è inferiore rispetto all’uomo e non è capace di ragionamenti difficili, niente da fare, nessuna laurea.

Inizia, così, una lunga polemica tra lo Studio di Padova, che aveva acconsentito alla laurea, e il cardinale Barbarigo. A 32 anni Elena ottiene, finalmente, la sua laurea: gliela concedono, però, in filosofia, non in teologia. La cerimonia di proclamazione resta negli annali: aula stracolma, si decide addirittura di spostare la discussione in uno spazio più grande. Qualcuno dice ci fossero, quel giorno, 30mila persone.

Elena Lucrezia Corner Piscopia si prende la sua rivincita: ora è una celebrità, tutti la cercano, tutti vogliono parlare con lei. Anche Luigi XVI manda i suoi informatori a verificare le doti eccezionali della donna.

La vita passata sui libri, però, presenta ben presto il suo conto: è il 1684 quando Elena muore, a soli 38 anni. Tra debiti e volontà dei monaci benedettini, non rimarrà nemmeno la statua di Elena, eretta su spinta del padre.

Oggi, la riproduzione della statua di Elena si trova ai piedi dello scalone del Bo’, nella sede dell’Università di Padova. È ricoperta da pannelli di plexiglas, piena di escrementi di piccioni.

Solo nel 1969, nell’occasione del tricentenario, si muove finalmente l’Università di Padova, che avvia delle ricerche su Elena. Lo studio conferma la verità.

Bistrattata, dimenticata, osteggiata. L’Italia vanta la prima donna laureata al mondo e manco lo sa. Non un’aula universitaria intitolata, non un istituto scolastico superiore, nemmeno un misero francobollo. Elena ha un debito con il nostro Paese, ed è ora di saldarlo.

Fonte: corriereuniv.it



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domenica 4 maggio 2014

ARTE e la Teoria dei COLORI



Ecco la 

Pagina dell' ARTE 



la Teoria dei COLORI 

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TEORIA DEI COLORI



CHIARO SCURO



COLORE E LUCE



COLORI CALDI E FREDDI



COLORI PRIMARI



CONTRASTO CROMATICO



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venerdì 2 maggio 2014

il Duce Nascose in America l’Oro della Patria


Quando il Duce nascose in America l’oro della Patria
Il governatore della Banca d'Italia in una lettera del 1939 dà istruzioni per trasportare negli Usa 25 tonnellate di metallo prezioso. Ma qualcosa non torna...

L’Italia fascista, che nel maggio del ’39 aveva firmato il «patto d’acciaio» con la Germania nazista e che il 10 giugno del ’40 avrebbe dichiarato guerra alle democrazie occidentali, «mise al sicuro» una gran quantità d’oro della Banca d’Italia negli Stati Uniti.
L’operazione fu spiegata in una lettera (2 marzo ’40) dell’allora governatore di Bankitalia Vincenzo Azzolini al ministro per gli Scambi e le Valute, Raffaello Riccardi. Dai primi di marzo del ’40 ai giorni immediatamente precedenti l’intervento mussoliniano, 25 tonnellate d’oro - valore: 27 milioni di dollari e 541 milioni di lire del tempo - vennero trasportate con il transatlantico «Rex» al di là dell’Oceano.

Una parte di quei fondi fu poi utilizzata per finanziare le ambasciate in America Latina. Due giovani diplomatici, Robero Ducci e Girolamo de Bosdari, ebbero l’incarico di portare a Rio de Janeiro due valigie contenenti un milione e mezzo di dollari. Completo i cenni fattuali tratti da Gente ricordando che la documentazione su questo intrigo politico-economico è custodita nell’archivio Riccardi, affidato a un museo creato a Genova dal miliardario di Miami Mitchell Wolfson.

I fatti sono chiari, lo sono molto meno le deduzioni cui essi si prestano. La più ovvia è che sia stata una manovra finanziaria con cui, in vista d’una futura partecipazione al conflitto, il governo italiano intendeva assicurarsi una cospicua disponibilità di denaro.

A conforto di questa tesi, le frasi con cui veniva spiegato che gli Usa «non hanno preso misure per i depositi degli Stati belligeranti, solo per gli Stati occupati». In base a questa considerazione formale una montagna d’oro sarebbe stata imbarcata sul «Rex». Il ragionamento non mi pare del tutto convincente. Poteva Mussolini, cui nessuno nega intelligenza, ignorare che gli Usa, pur formalmente estranei al conflitto, erano di fatto al fianco della Gran Bretagna e della Francia? Poteva ignorare che se si fossero impegnati nell’immane scontro, l’avrebbero fatto contro la Germania? La mossa mussoliniana, se fondata su questo e soltanto su questo, sarebbe una prova clamorosa di dilettantismo. Oltretutto mancavano gli stimoli temperamentali che determinavano i colpi d testa del Duce.

Ma la vicenda non è di quelle che sollecitavano i suoi impulsi. È ragioneria, gestita da un personaggio riflessivo e prudente come il governatore Azzolini. Si deve allora leggere la manovra come un gesto di sfiducia nei confronti della Germania? Siamo, con le istruzioni di Azzolini, ai primi di marzo del ’40, e il 18 di quel mese il Duce incontra il Führer al Brennero, dove promise di «marciare con la Germania» riservandosi tuttavia la scelta del momento in cui l’avrebbe fatto. Nello stato d’animo in cui era, il Duce poteva ragionevolmente osare un gesto anti-tedesco oppure - ed è ancor meno verosimile - preoccuparsi della sorte che avrebbe avuto l’oro italiano quando i tedeschi, vincitori o vinti o chissà cos’altro, avessero voluto metterci sopra le mani?

No, la mossa del governo fascista non ebbe - questa è la mia opinione - un movente o alcuni moventi che avessero attinenza con le grandi strategie e con le grandi ideologie. Mussolini, ancora in dubbio sull’agganciarsi totalmente a Hitler - lo risolse, il dubbio, quando seppe che le Panzerdivisionen irrompevano verso Parigi - non ebbe nessuna intenzione di dare uno schiaffo o almeno d’attestare sfiducia alla Germania. Non questo ci racconta - è sempre, lo ribadisco, una mia discutibile opinione - il carteggio ora affiorato. Racconta, secondo me, qualcos’altro. Mussolini sottovalutava gli Stati Uniti. Diceva Giovanni Ansaldo che se il Duce, provinciale di talento, avesse visto una volta l’elenco telefonico di New York - venti volte quello di Roma - gli sarebbe passata ogni voglia di stuzzicare gli americani. In quei giorni vide il sottosegretario agli Esteri Sumner Welles inviato da Roosevelt.

Non si piacquero reciprocamente. Sumner Welles descrisse Mussolini «statico e massiccio piuttosto che vigoroso». Per Mussolini gli americani, simpatizzanti delle democrazie, contavano poco, e non sarebbero entrati in guerra, comunque fossero andate le cose. Dunque gli Usa erano un santuario sicuro per l’oro di Roma. Un’altra profezia che non si può dire fosse proprio azzeccata.

leggi anche :  http://cipiri2.blogspot.it/2014/04/benito-mussolini-e-la-sua-amante.html

SFATIAMO UNA BALLA COLOSSALE
Mussolini non ha inventato la pensione. 
In Italia la previdenza sociale nasce nel 1898 con la fondazione della Cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai , un’assicurazione volontaria integrata da un contributo di incoraggiamento dello Stato e dal contributo anch’esso libero degli imprenditori. Mussolini aveva in quella data l’età 15 anni…,l’iscrizione a tale istituto diventa obbligatoria solo nel 1919, anno in cui l’istituto cambia nome in “Cassa Nazionale per le Assicurazioni Sociali”. Tutta la storia della nostra previdenza sociale è peraltro verificabile sul sito de l‘Inps.
 La pensione sociale viene introdotta solo nel 1969. Dunque se prendiamo la pensione
 non dobbiamo certo ringraziare Benito Mussolini!
 Sperando così che una volta per tutte certa gente la smetta di far regressivamente
propaganda a favore del ‘bene’ che Mussolini fece all’Italia...




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