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venerdì 4 dicembre 2015

Massacro a Sand Creek



 Massacro a Sand Creek
Noto anche come battaglia di Sand Creek o massacro di Chivington, il massacro di Sand Creek va in scena il 29 novembre 1864 durante le guerre indiane negli Stati Uniti, quando le truppe guidate dal colonnello John Chivington della milizia del Colorado colpiscono un villaggio di Arapaho e Cheyenne, uccidendo tutti compresi bambini e donne.

In quel periodo, la febbre dell’oro (iniziata alla fine degli anni Cinquanta dell’Ottocento nelle Montagne Rocciose del Kansas) sta attirando numerosi colonizzatori in quei luoghi: un’ondata migratoria improvvisa che fa sorgere scontri tra le tribù indiane che abitano l’area e gli “invasori”. Gli scontri si traducono nella guerra del Colorado che va in scena nel 1864. Poiché il conflitto tra minatori e nativi sta mettendo in pericolo i percorsi delle locomotive lungo le pianure dell’est del Colorado, John Evans, governatore del territorio, spedisce il colonnello Chivington alla guida di un esercito di modeste dimensioni, composto da gente del posto, contro gli indiani. Il governo impone che le tribù si radunino a Fort Lyon.

Qui si presentano circa ottocento Arapaho insieme con uno dei capi Cheyenne del sud, Pentola Nera, per chiedere di sospendere le ostilità; poco dopo, essi si spostano quaranta miglia a nord, sul Sand Creek. È a questo punto che gli uomini di Chivington, appartenenti alla Terza Cavalleria Colorado (gente non proprio raccomandabile, mercenari reclutati per cento giorni con l’unico obiettivo di uccidere il maggior numero possibile di indiani) e alla Prima Cavalleria Colorado, unitamente a una compagnia di Primi Volontari del New Mexico, si dirigono verso i campi: il 29 novembre si verifica un vero e proprio massacro, benché i Cheyenne si mostrino disponibili a trattare la pace.

Una delegazione di indiani guidata da Orso Magro viene mandata in avanscoperta: il capo Cheyenne, però, viene ucciso immediatamente. In seguito, un rapido combattimento viene bloccato dal capo Pentola Nera, che impone ai suoi seicento guerrieri di non uccidere i volontari. La situazione, insomma, sembra essere favorevole agli indiani, ma la loro richiesta di pace non viene tenuta in considerazione da Evans. Avvicinatisi ai forti nel tentativo di capire la situazione, alcuni capi dei nativi si separano dalle altre tribù, inclusa quella di Pentola Nera, che invece muovono verso nord. L’esercito, tuttavia, non terrà minimamente conto della distinzione tra indiani con intenzioni bellicose e indiani pacifici. Il campo Cheyenne, situato in un’ansa del fiume a ferro di cavallo, è privo di sentinelle nel corso della notte, poiché gli indiani credono di non avere nulla da temere e si fidano dei colonizzatori. Nell’ansa ci sono circa seicento indiani, quasi tutti bambini e donne, visto che la maggior parte dei guerrieri si è spostata a est a caccia di bisonti per soddisfare le esigenze dell’accampamento.

I primi sentori di un possibile attacco arrivano intorno all’alba, quando si ode il rimbombo di zoccoli sulla pianura, che però viene scambiato per una massa di bisonti. Con il sorgere del sole, l’accampamento viene fatto circondare dal colonnello, in contrasto con gli accordi presi in precedenza, e a dispetto della bandiera americana issata nel villaggio (il colonnello Greenwood aveva assicurato a Pentola Nera che nessun soldato avrebbe aperto il fuoco fino a quando la bandiera avesse sventolato). Viene, quindi, comandato l’attacco contro una popolazione praticamente inerme, non in grado di opporsi. Gli indiani iniziano a uscire dalle tende, spaventati, dirigendosi verso i cavalli. Nella confusione, Pentola Nera urla alla propria gente di non temere nulla e di fidarsi dei soldati. Poco dopo, le truppe iniziano a sparare con pistole e carabine, proprio mentre donne e bambini cercano riparo sotto la bandiera. Molti uomini vengono mutilati in maniera orrenda e scalpati, le donne violentate; i bambini impiegati per orribili tiri al bersaglio. Episodi sconvolgenti e delitti atroci, accentuati dal fatto che molti soldati sono ubriachi.



Tra i Cheyenne, si registrano almeno centocinquanta morti, molti dei quali bambini, donne e anziani.

Insomma, bevute di whisky e totale assenza di disciplina contribuiscono a rendere sconvolgenti quelle uccisioni: ma, al tempo stesso, favoriscono la fuga di diversi indiani. Molti Cheyenne, infatti, riescono a scavare sotto gli argini del fiume trincee, in maniera da resistere fino all’arrivo della notte. Con il calare del buio, i superstiti emergono dalle buche, tentando la fuga verso est: una marcia durata ottanta chilometri, fino al primo campo di caccia, dove si ricongiungono ai familiari (soprattutto guerrieri).

Dopo l’eccidio, diversi indiani si uniscono alla confraternita di guerrieri “Dog Soldiers”, rendendosi responsabili di un massacro nei confronti dei residenti della Platte Valley, con oltre duecento civili uccisi.

I colpevoli del massacro del Sand Creek non verranno mai puniti, a dispetto dell’apertura di un’inchiesta nel 1865: la strage non sarà mai condannata ufficialmente, e addirittura ancora oggi una città posta non lontano dal Sand Creek porta il nome di Chivington. Quel massacro, comunque, sarà l’evento scatenante delle Guerre Indiane, durate dodici anni, che porteranno alla morte a Little Big Horn di George Custer.

A questo episodio si riferiscono Fabrizio De André nella canzone “Fiume Sand Creek” (contenuta nel disco del 1981 “Album dell’indiano”), il folk singer americano Peter La Farge nel brano “The Crimson Parson”, Emilio Salgari nei romanzi “Sulle frontiere del Far-West” e “La scotennatrice”, e il regista Ralph Neeson nella pellicola “Soldato blu”.

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