Punto Interrogativo
Il punto interrogativo, o punto di domanda, è un comune segno tipografico di punteggiatura; esso è graficamente formato da un ricciolo con avvolgimento antiorario soprastante verticalmente un punto: ?. Nella lettura esso corrisponde a un'intonazione ascendente, di domanda o richiesta.
In greco antico, la funzione di contrassegnare una domanda, espressa oggi col punto interrogativo, era demandata a un punto e virgola ";" (???t?µat???). Nel corso dei secoli tale convenzione decadde, e per tutta l'età antica non si usarono segni particolari per esprimere l'intonazione interrogativa. Il punto interrogativo vero e proprio nacque nel Medioevo, all'epoca dei monaci copisti: essi infatti solevano, per indicare le domande, scrivere alla fine delle frasi la sigla qo, che stava per quaestio (dal latino, domanda). Per evitare di confondere questa sigla con altre, in seguito cominciarono a scrivere le due lettere che la componevano, l'una sull'altra e a stilizzarle, mutando la Q in un ricciolo e la O in un punto, dando così vita al punto interrogativo.
Tipica «marca dell’intonazione», cui è idealmente associato il caratteristico modello di tono discendente-ascendente (? intonazione), anche il punto interrogativo, come il ? punto esclamativo, andrebbe più propriamente definito un «indicatore di atto linguistico», benché non univoco, «dal momento che una domanda può valere come un invito, un consiglio, un comando, ecc.» o perfino un’esclamazione (per es., può indicarmi la strada?, vuoi stare zitto?, davvero non lo sapevi?), e quindi avere, anche dal punto di vista prosodico-intonazionale, diverse realizzazioni.
Alla metà dell’VIII secolo, la pratica di copiatura dei testi liturgici, nei quali «la punteggiatura era importante anche per la corretta intonazione del canto» , diede impulso a un nuovo sistema di simboli (o positurae), che tra le altre cose si arricchì del punctus interrogativus, il cui uso, iniziato alla corte di Carlomagno allo scopo di indicare il termine di una sententia contenente una domanda, «si diffuse nei secoli successivi anche al di fuori dei testi religiosi»
Nel Cinquecento, Coluccio Salutati e poi Jacopo Vittori da Spello individuano come peculiarità dell’interrogativo il «dimandare con desiderio di risposta» , cogliendo un aspetto fondamentale del valore del segno dell’interrogazione: il suo essere rivolto all’altro, a un interlocutore di cui, reale o fittizio che sia, la domanda non può fare a meno.
Fin da Lionardo Salviati (Degli avvertimenti della lingua sopra ’l Decamerone, vol. I, 1584), inoltre, è stata riconosciuta all’interrogativo la funzione di segnalare una pausa che dal punto di vista della forza sintattica equivale a quella indicata dal punto fermo, ma che differisce per la ? modalità (ad un tempo logico-sintattica e intonativa) che imprime all’enunciato (interrogativa anziché assertiva).
L’interrogativo «fu raffigurato dapprima con un punto a cui sovrasta una linea ondulata o spezzata» , per poi arrivare ad assumere la forma grafica per noi abituale, già nelle trattazioni dei grammatici della seconda metà del Cinquecento, da Lodovico Dolce (I quattro libri delle Osservationi, 1550) al citato Vittori da Spello. Tuttavia, lo scambio dell’interrogativo con l’esclamativo, di cui alcuni studiosi trovano tracce già in Petrarca, è un fenomeno destinato a durare fino al Seicento.
Un’altra differenza rispetto all’uso moderno consiste nell’uso del punto interrogativo per segnalare anche le interrogative indirette, di cui si trovano esempi dal Decameron di Boccaccio , a scritture epistolari colte del primo Ottocento .
L'interrogazione è un tipo di atto linguistico teso a richiedere all'interlocutore un'informazione o un'azione. Può essere effettuato attraverso mezzi morfologici (utilizzo di particelle dedicate), sintattici (inversione dell'ordine) o prosodici (intonazione ascendente)
Morfologia (linguistica)
La morfologia (dal greco, morphé "forma" e lògos "studio") è la parte della grammatica o della linguistica che ha per oggetto lo studio della struttura grammaticale delle parole e che ne stabilisce la classificazione e l'appartenenza a determinate categorie come il nome, il pronome, il verbo, l'aggettivo e le forme della flessione, come la coniugazione per i verbi e la declinazione per i nomi distinguendosi dalla fonologia, dalla sintassi e dal lessico. Inoltre indaga i meccanismi secondo i quali le unità portatrici di significati semplici si organizzano in significati più complessi: le parole.
Nella grammatica tradizionale, la morfologia studia la forma delle parole, come la flessione e la derivazione. Nella linguistica moderna essa studia la struttura della parola e descrive le varie forme che le parole assumono a seconda delle categorie di numero, di genere, di modo, di tempo, di persona.
Un nuovo approccio alla morfologia deriva da una corrente del generativismo di matrice chomskiana, chiamata Morfologia distribuita. Questo approccio teorico dimostra che la creazione delle parole non risieda nella componente lessicale della lingua, ma invece segua le stesse regole sintattiche che sono alla base della formazione delle frasi.
Sintassi
La parola sintassi (o sintattica) deriva dal termine greco "suntaxis" che significa "ordinamento" ed è la branca della linguistica che studia i diversi modi in cui le parole si uniscono tra loro per formare una proposizione e i vari modi in cui le proposizioni si collegano per formare un periodo. Nella tradizione scolastica, la sintassi è distinta dalla grammatica (che comprende fonologia e morfologia).
Prosodia
La prosodia (dal latino prosodia(m), che deriva a sua volta dal greco prosodia, composto di pros-, "verso" e odè, "canto") è la parte della linguistica che studia l'intonazione, il ritmo, la durata (isocronia) e l'accento del linguaggio parlato.
Le caratteristiche prosodiche di un'unità di linguaggio parlato (sia essa una sillaba, una parola, o una frase) sono detti tratti soprasegmentali, perché simultanee ai segmenti in cui può essere divisa quell'unità. Le si può infatti rappresentare idealmente come 'sovrapposte' ad essi. Alcuni di questi tratti sono, ad esempio, la lunghezza della sillaba, il tono, l'accento.
Le unità prosodiche non corrispondono a unità grammaticali, anche se possono dirci qualcosa su come il nostro cervello analizza il parlato. I sintagmi e i periodi sono concetti grammaticali, ma possono avere equivalenti prosodici (unità prosodiche o intonazionali), a più livelli gerarchici.
Queste unità sono caratterizzate da diversi segni fonetici, come una...
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