È l’unico centro in Italia che produce canapa a uso medico in ambiente indoor. L'obiettivo: farne un polo di eccellenza
ROVIGO — Non vi aspettate le piantagioni di cannabis nascoste tra i
boschi della contea di Mendocino o le distese di marijuana della Napa
Valley, in California. Non siamo più nel 1896, quando l’Italia era il
secondo produttore mondiale di canapa da fibra (100mila ettari di
coltivazioni) e nel Delta del Po, a Carmagnola e a Caserta crescevano
foreste di canapa autoctona alta fino a tre metri. Nella ricca terra
veneta, la sede distaccata di Rovigo del Centro di ricerca per le
colture industriali del CRA (il più grande ente italiano di ricerca in
agricoltura, controllato dal Ministero delle Politiche agricole)
conserva in una piccola serra esterna soltanto poche decine di
pianticelle di canapa appunto da fibra e quindi innocue. Ogni tanto
qualche ragazzotto della zona se le porta via, pensando di fumarsi
chissà che. Invece inalerà al massimo un po’ di erba secca. A
preoccupare di più Gianpaolo Grassi, 55 anni di Ferrara, sposato e con
due figli, direttore dell’istituto fondato nel 1912 dall’agronomo
Ottavio Munerati come "Regia Stazione sperimentale di bieticoltura",
sono in realtà i cambi della guardia tra le Forze dell’ordine. Ogni
volta ai nuovi comandanti viene in mente di mandare in via Amendola
grandi spiegamenti di uomini e mezzi, per sequestrare le piante di
cannabis (queste sì psicoattive) ben custodite all’interno dell’edificio
di tre piani in mezzo alla campagna. Poi (almeno finora è accaduto
così) tutto si chiarisce.
PATRIMONIO - Ma l’assillo maggiore
dell’agronomo è salvare l’istituto dall’oblio (un patrimonio da museo
solo in libri, riviste e macchinari d’epoca) e lanciarlo una volta per
tutte con la sua eccellenza: è l’unico centro in Italia in grado di
produrre canapa a uso medico in ambiente indoor. «Nel 2002, quando
decisi di specializzare il Centro nella coltivazione della canapa invece
della barbabietola, — racconta Grassi — i miei colleghi dicevano che
non ce l’avrei mai fatta. Invece se ora riesco a tenere in qualche modo
uno spiraglio aperto per poter continuare è proprio merito della canapa,
perché stiamo lavorando con finanziamenti privati o europei che
riguardano al 99% la canapa ad uso tessile. Tiriamo avanti in buona
parte con i proventi dell’azienda, i circa 60 ettari legati alla
coltura, anche perché una parte dell’attività è dedicata alla ricerca e
da questa non è che si ricavi un granché». La legge sull’uso dei
derivati della cannabis approvata in Toscana e i progetti depositati in
Veneto e in altre sette regioni potrebbero dunque far decollare il
Centro di Rovigo, offrendo "materia prima" di idonea qualità per
l’utilizzo in campo medico e non solo.
LABORATORI - Ai piani
superiori dell’edificio ci sono i laboratori, dove vengono selezionate
le varietà e analizzato il contenuto dei principi attivi. Alcune stanze
ospitano le "scorte" di cannabis del Centro: quelle con molto THC
(tetraidrocannabinolo, la sostanza psicoattiva), molto cannabidiolo o
cannabigerolo, che sono i cugini minori del THC perché non psicotropi.
Si lavora sul raddoppio del corredo cromosomico, per ottenere una
maggiore produzione di metaboliti. In altre stanze è possibile seguire
l’intero ciclo della pianta. Un paradiso, per i malintenzionati.
«L’intero complesso è vigilato e con allarmi — rassicura Grassi —.
All’interno abbiamo regole severe da rispettare sui controlli e la
sicurezza. Il materiale che può contenere sostanze stupefacenti viene
tenuto in frigoriferi o stanze con chiusura blindata, sotto protezione».
Il cuore della produzione per uso farmaceutico, però, è la "serra
controllata" creata in un capannone blindato. In un’atmosfera da
fantascienza, sotto la luce giallognola delle lampade a 600 Watt che
forniscono 25 mila lux, le piantine selezionate all’origine vengono
allevate in ambiente quasi sterile. «Qui non ci sono insetti, né
possibilità di contaminazioni pericolose — ci dice Grassi — e non usiamo
prodotti chimici per trattare le piante. Per arrivare ad avere anche la
produzione di un vegetale che poi possa essere trasformato o destinato a
farmaco bisogna seguire delle procedure e ottenere un materiale che sia
caratterizzato da livelli elevati di salubrità e di assenza di
contaminazione. La pianta deve produrre il massimo e il prodotto deve
essere uniforme in qualunque stagione e con qualsiasi temperatura. Una
delle caratteristiche ricercate dal prodotto farmaceutico è proprio la
costanza e la standardizzazione del principio attivo».
SICUREZZA - Questo per dare la massima garanzia al paziente e al medico,
sia sull’origine che sull’efficacia del farmaco. «Se i malati
recuperano la canapa dal mercato nero, — aggiunge — rischiano, perché
possono assumere qualunque tipo di sostanza, oltre ai cannabinoidi. E
certi signori non sono tanto ligi alle regole della buona pratica di
produzione dei farmaci». Ma quanta sostanza si può ottenere? «In questa
serra alleviamo mediamente 150 piante. Ogni pianta produce una quantità
di fiori, che è la parte più ricca e di interesse, per circa 30 grammi,
per cui diciamo circa 4,5 chili di materiale. Venduto a 3 euro al
grammo, sono indicativamente 14 mila euro per ciclo (il prezzo del
mercato nero è di 10 euro/gr). Con un lavoro intensivo, possiamo
arrivare anche a 4 cicli l'anno. Dunque potremmo guadagnare circa 56
mila euro a serra. Con due serre potremmo ricavare il finanziamento che
ci consente di stare in piedi da soli». Grassi lancia anche la proposta
di creare una vera e propria filiera nazionale della cannabis medica,
coinvolgendo lo Stabilimento chimico farmaceutico militare di Firenze.
«Potremmo utilizzare i loro impianti per la produzione sia di farmaci
sia di cosmetici estratti dalla canapa». Tutto certificato dallo Stato. E
con la creazione di posti di lavoro. Perché non pensarci?
http://www.corriere.it/salute/12_maggio_22/canapa-sicura-malati_13684f74-a0f1-11e1-b2d7-87c74037ee6c.shtml -
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