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venerdì 28 giugno 2019

Grotta Palazzese : Manzo Giapponese Scaduto e Pesce Non Tracciabile


Grotta Palazzese : Manzo Giapponese Scaduto e Pesce Non Tracciabile


IL RISTORANTE PIÙ BELLO AL MONDO COL MANZO SCADUTO - PARLANO GLI CHEF DI ''GROTTA PALAZZESE'' DI POLIGNANO A MARE, UNO DEI LUOGHI PIÙ FAMOSI AL MONDO, DOPO LA FIGURACCIA DELLA MULTA, 
TRA MANZO GIAPPONESE SCADUTO E PESCE NON TRACCIABILE. 

Otto chili di pregiatissima carne giapponese scaduta e 68 chili di pesce di provenienza ignota. Così uno dei ristoranti più esclusivi della Puglia finisce nei guai per “gravi irregolarità”. Nel mirino della Guardia Costiera è Grotta Palazzese di Polignano a Mare, luogo esclusivo a strapiombo sul mare in una cavità naturale dove i menù degustazione variano dai 180 ai 220 euro a persona.



Durante l’ispezione nelle cucine e ai frigoriferi della struttura, i militari hanno rinvenuto 8 kg di carne wagyu, un bovino orientale il cui consumo in Italia sta crescendo, scaduta a maggio e 68 kg di pesce privo di indicazione di tracciabilità. 
I prodotti sono stati sequestrati e il titolare dovrà pagare 5.500 euro di multa.




Grotta Palazzese : Manzo Giapponese Scaduto e Pesce Non Tracciabile


Nel pomeriggio lo chef executive del ristorante, Felice Sgarra, e il vicedirettore Riccardo Sgarra si sono scusati “per l’involontario errore in cui siamo incorsi e precisiamo che la proprietà e l’amministratore della società sono assolutamente estranei ai fatti contestati, essendo affidata unicamente a noi la responsabilità delle materie prime 
e dei prodotti utilizzati nell’attività ristorativa”.

sicuramente qualcuno è Stato Male
 ed ha fatto una segnalazione
 con i Prezzi che fate Pagare  
i numeri del conto li leggete però

In una nota, i due specificano che “non v’è mai stato alcun rischio per la salute, poiché Grotta Palazzese ha sempre privilegiato prodotti di alta qualità nel rispetto della sicurezza alimentare. 
In questo caso l’unico errore che ci rimproveriamo
 è quello di non aver prestato attenzione alle etichette”.
Ah Bene non Guardate le ETICHETTE , 
Spero almeno che Facciate 
lo Scontrino ai Clienti.


Grotta Palazzese : Manzo Giapponese Scaduto e Pesce Non Tracciabile

Grotta Palazzese : Manzo Giapponese Scaduto e Pesce Non Tracciabile




Sanzione meno salata, ma irregolarità simili in un altro ristorante della cittadina barese, La Tana Marina di Cala Paura, dove la Guardia Costiera ha ritrovato 95 chili di prodotti ittici senza etichettatura e quindi di provenienza sconosciuta. In questo caso, 
il proprietario della struttura dovrà sborsare 1.500 euro di multa.



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martedì 25 giugno 2019

Chi vota Lega lo fa per poter evadere il fisco

Chef Rubio


Chef Rubio: “Chi vota Lega lo fa per poter evadere il fisco”

Chef Rubio ha colto l’occasione della sua partecipazione a Trame, Festival dei libri contro le mafie, per attaccare Matteo Salvini.

Gli affondi nei confronti del leader della Lega non arrivano solo da Don De Capitani negli ultimi giorni. Anche Chef Rubio ha criticato duramente Matteo Salvini. Riporta Agenzia Nova, che il cuoco in questi giorno a Lamezia per partecipare a Trame, Festival dei libri contro le mafie, ha così risposto ai giornalisti: “La Lega nasce per tutelare chi voleva evadere il fisco. Chi sceglie Lega sceglie sicuramente la via più facile per continuare a fare ciò che di poco lecito
 c’è in tutto lo stivale – ha esordito lo chef . 

Non sono io che devo dire che la Lega nasce per tutelare chi voleva evadere il fisco e fare del nero 
negli anni 80, quindi quelli che scelgono Lega sono dei potenziali problemi per gli onesti cittadini”.

Negli ultimi mesi Chef Rubio, al secolo Gabriele Rubini, ha attaccato più volte il leader della Lega 
Matteo Salvini. Che tra i due non ci fosse particolare simpatia, per usare un eufemismo, lo si era notato in particolar modo quando il cuoco aveva punzecchiato il vicepremier per lo spot “Vinci Salvini”, lanciato dal numero uno del Carroccio prima delle elezioni europee, voto che ha visto la vittoria della Lega. In quell’occasione Chef Rubio aveva
 risposto con una sua iniziativa, lo “Sfotti Salvini”.

Come riferito da Adnkronos, Rubini scrisse su Twitter: “Gioca e sfotti Matteo Salvini. Vai ai suoi incontri pubblici e perculalo. Lui invece di essere a lavoro è in giro a gettare fumo negli occhi? Tu bacialo in bocca! Lui dà addosso ai migranti? Tu ricordagli quanto è ignorante! Lui supporta i neofasci? Tu ricordagli le indagini”.

Chef Rubio spiegò quindi nel dettaglio come si sarebbe dovuto svolgere: “Sfotti Salvini! Prova a dargli un bacio gay oppure imbarazzalo in luoghi pubblici o comizi! Ogni volta che viene in città avvicinalo fingendo di essere un cog… dei suoi e poi, cellulare alla mano, filma la tua impresa e postala sui social”. Mentre per quanto riguarda il montepremi: “Vinci che prima o poi te lo levi da’r c…”. Tutto lascia presagire che l’affondo di Lamezia da parte del cuoco tatuato sarà solo uno dei tanti capitoli di questa annosa querelle tra i due

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Salvini: “Tu non puoi nominare Gesù”

Salvini: “Tu non puoi nominare Gesù”


Marco Tarquinio, direttore di Avvenire
 a Salvini: “Tu non puoi nominare Gesù”


«Per favore, chi ha votato la “legge della strada” ci risparmi almeno parole al vento e ai social sullo spirito del Natale, sul presepe e sul nome di Gesù. Prima di nominarlo, Lui, bisogna conoscerlo». Le parole sono si Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, il quotidiano dei vescovi italiani. I destinatari sono il vicepremier Matteo Salvini e tutti i parlamentari che hanno votato il decreto sicurezza e immigrazione, ribattezzato  “legge della strada”  Secondo Tarquinio eliminando il criterio della protezione umanitaria la politica migratoria del Governo Conte ha di fatto gettato nell’illegalità una massa di stranieri che prima potevano contare sull’accoglienza e sul possibile avvio di un percorso di integrazione. E che invece ora si ritrovano senza un tetto e con un foglio di via.


Tarquinio, nel suo editoriale, parte dalla storia di una famiglia di immigrati, lui ghanese e lei nigeriana, con una bambina di 5 mesi, che non possono esser accolti da un Cara calabrese perché non rifugiati. «Eccolo davanti ai nostri occhi il presepe vivente del Natale 2018 — sottolinea il direttore di Avvenire —. Allestito in una fabbrica dell’illegalità, costruita a suon di norme e di commi. Campane senza gioia, fatte suonare per persone, e famiglie, alle quali resta per tetto e per letto un misero foglio di carta, che ironicamente e ormai vuotamente le definisce meritevoli di “protezione umanitaria”. Ma quelle campane tristi suonano anche per noi». Tarquinio fa riferimento allo spirito di Natale e al fatto che lo stesso Salvini e molti altri esponenti leghisti in questo periodo stiano insistendo molto sui social network sul valore del presepe e della tradizione cristiana del Natale: «Prima di nominare Gesù, bisogna riconoscerlo» .

Sul tema  è intervenuto anche monsignor Giancarlo Bregantini, vescovo di Campobasso. «Non si possono venerare i nostri simboli religiosi senza essere coerenti. Ad esempio non si può fare il presepe e non accogliere negli Sprar due sposi di una coppia vera di giovani che hanno avuto un bambino qualche mese fa e che ora stanno per strada. Non si può venerare il crocifisso senza avere solidarietà con i crocifissi della storia. Questo è il nodo principale che stiamo combattendo», ha sottolineato monsignor Bregantini, che recentemente aveva con forza difeso il «modello Riace» e il sindaco Domenico Lucano.

Nel maggio di due anni fa Tarquinio dedicò un editoriale a Matteo Renzi dopo le dichiarazioni di questi sulla legge a sostegno delle Unioni Civili. L’ex sindaco di Firenze disse: “Ho giurato sulla Costituzione, non sul Vangelo”. Tarquinio commentò: “Matteo Renzi non è un politico chiuso nella ‘torre’ del potere, ma di questo passo, nell’ebbrezza provocatagli dai colpi di fiducia sulle ‘unioni civili’, rischia di finirci e di perdersi. Succede quando si comincia a non ascoltare più gli altri e si prende ad ascoltare soprattutto se stessi – o quelli che ti assomigliano per interesse quando si dimentica la propria ispirazione più vera e si confondono ideali ed equilibrismi, avversari e interlocutori. Il premier – scrisse ancora  il direttore del quotidiano della Cei – dovrebbe sapere che sul Vangelo non si giura, ma lo si vive. E che la Costituzione non assolve dagli errori, anzi li sottolinea. Tantissimi italiani lo sanno, certamente i cattolici. Che se si vendicano non sono buoni, ma se mettono da parte il Vangelo non servono a niente“.

Intervenendo a Non è l’Arena di Massimo Giletti, su La7, lo stesso Salvini ha replicato tagliando corto: «Mi hanno dato del razzista, fascista, assassino, delinquente, ho fatto semplicemente quello che gli italiani mi chiedevano. Ho fatto diminuire gli sbarchi. Sugli attacchi di Avvenire rispondo che molte persone di chiesa mi fermano e mi chiedono di andare avanti».




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venerdì 21 giugno 2019

Il brigantaggio


Il Risorgimento è da tempo sottoposto ad una revisione storiografica che ne abbassa realisticamente i toni da libro Cuore, travasati per oltre un secolo nei libri di storia, in particolare di quelli scolastici.



Il Risorgimento è da tempo sottoposto ad una revisione storiografica che ne abbassa realisticamente i toni da libro Cuore, travasati per oltre un secolo nei libri di storia, in particolare di quelli scolastici. In realtà al Sud lo Stato italiano (“i Piemontesi”) veniva sentito come un corpo estraneo e invasore, portatore di leggi e balzelli. Non esisteva ancora negli italiani un sentito concetto di patria, men che meno di nazione e di popolo. L’unità era stata un’invenzione di politici e intellettuali, non era un desiderio sentito dalle masse; i famosi plebisciti con il 99.9 per cento di assensi sull’annessione delle varie regioni all’Italia, cioè al regno dei Savoia, rappresentavano in realtà il 2 per cento della popolazione. Le masse erano prima di tutto ignoranti, povere e legate alla propria cultura regionale, non sentivano il bisogno della nuova, grande patria.

Il “brigantaggio” – sostenuto dai Borboni in esilio, dal clero, da veri briganti e dalla popolazione civile – fu una rivolta di massa, sociale e politica, una vera guerra civile sanguinosissima che l’ufficialità di allora, i regimi successivi e la storiografia si sono sempre sforzati di nascondere. Era la prima, dura prova dello Stato unitario, sulla quale si giocava la sua credibilità internazionale; e lo Stato, nel periodo 1861-1864, impiegò quasi metà dell’esercito per vincere la ribellione. Il 15 agosto 1863 fu approvata la legge Pica, che estendeva la repressione alla popolazione civile, ovvero a chiunque fornisse ai “briganti” viveri, informazioni “ed aiuti in ogni maniera”. Con questo strumento operarono i nomi più illustri dell’esercito, Alfonso La Marmora, Enrico Cialdini, Enrico Morozzo della Rocca, Giacomo Medici, Raffaele Cadorna.

Intere regioni furono sottoposte a un regime di occupazione, ebbero villaggi incendiati, coltivazioni distrutte e lutti – decine di migliaia, non si sa quanti – dovuti ai “piemontesi”. La crudeltà fu estrema da entrambe le parti. La popolazione considerava i briganti eroi coraggiosi contro un invasore. Ancora ottanta anni dopo Carlo Levi, in Cristo si è fermato a Eboli, scrisse: “Non c’è famiglia che non abbia parteggiato, allora, per i briganti o contro i briganti; che non abbia avuto qualcuno, con loro, alla macchia, che non ne abbia ospitato o nascosto, o che non abbia avuto qualche parente massacrato o qualche raccolto incendiato da loro. A quel tempo risalgono gli odi che dividono il paese tramandati per le generazioni, e sempre attuali. Ma, salvo poche eccezioni, i contadini erano tutti dalla parte dei briganti, e, col passare del tempo, quelle gesta che avevano colpito le loro fantasie si sono indissolubilmente legate agli aspetti familiari del paese, sono entrate nel discorso quotidiano, con la stessa naturalezza degli animali e degli spiriti, sono cresciute nella leggenda e hanno assunto la verità certa del mito.”

Non è possibile capire il successivo rapporto Nord-Sud, fino ai nostri giorni, se non si tiene conto di quegli eventi. L’Italia settentrionale assistette inorridita alla guerra, per quanto si cercasse di nasconderne la gravità, e si cominciò a chiedersi se annettere “quei selvaggi” era stato un bene. Il banditismo venne stroncato senza che peraltro venisse risolto il problema della criminalità, né tanto meno quello della sopravvivenza quotidiana dei più poveri.

Alla fine del 1865, la lotta al “brigantaggio” era ormai vinta, anche se durerà almeno fino all’annessione dello Stato della Chiesa. Il governo centrale si era imposto, l’Unità era salva grazie all’esercito, ma a caro prezzo. Scrive Gianni Oliva: “L’introduzione del regime costituzionale e delle annesse garanzie statutarie, che era stato presentato come il più importante motivo di progresso politico conseguente all’unificazione, si era di fatto risolto nella sua stessa negazione, la dittatura militare”.  Prima di lui, un padre della patria, Luigi Settembrini era arrivato a una conclusione ineccepibile, nel suo realismo: “L’esercito è il filo di ferro che tiene unita l’Italia dopo averla cucita.”

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